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"Se Dio non è nostro amico, nessun amico può aiutarci. Ma quando Egli è nostro amico, non importa che nessun altro lo sia."

Martin Luther (1483-1546)

 

 

 

PARTE 1:

"Buone Cose Avengono a Persone Buone, Cose Cattive Avventono a Persone Cattive"


Il libro di Giobbe è uno dei più affascinanti dell'intera Bibbia. E' abbastanza lungo, infatti conta quarantadue capitoli. Gran parte del libro consiste in un dialogo tra Giobbe ed alcuni amici. Le loro discussioni affrontano argomenti differenti che hanno interessato popoli di tutti i tempi. Uno di questi argomenti è una dottrina, l'affermazione che cose buone avvengono a persone buone e cose cattive avvengono a persone cattive. Nel corso della storia molti hanno creduto a questa affermazione, ed essa ha causato problemi a diverse persone, nondimeno nella loro relazione con Dio. La mia impressione è che la situazione al giorno d'oggi sia invariata.

 

Causa ed effetto

Una domanda che molti si pongono è se vi sia una correlazione diretta tra peccato e sofferenza, ovvero se la sofferenza sia una sorta di punizione per i peccati commessi. Specialmente coloro che hanno vissuto una malattia od un incidente si chiedono perché siano proprio loro ad esserne affetti.  “Che cosa ho fatto di sbagliato per meritarmelo?” o “Non ho mai fatto del male a nessuno. Perché mi è successo questo?”

Molte volte ho sentito queste domande da parte di persone che per varie ragioni erano state ricoverate negli ospedali in cui ho lavorato. E' difficile trovare una risposta adeguata. A volte la domanda sembra nascondere una critica, come se fosse un'accusa indiretta a Dio. Il vero contenuto sembra essere: “Perché Dio permette che questo succeda a me?” o “Perché Dio dovrebbe punirmi?”

Sottintesa a entrambe queste domande vi è una concezione di un dio che non è amorevole, indulgente o misericordioso. Le accuse sono dirette ad un dio che non sembra interessarsi alle sofferenze di questa persona. “Non può amarmi davvero se permette che io viva queste sofferenze...” Le accuse sono rivolte ad un dio vendicativo che vuole punire le persone quando queste fanno qualcosa che non gli piace. “Che cosa ho fatto di sbagliato, visto che Dio mi punisce in questo modo terribile?”

Così erano gli dei greci. Vi sono diversi miti che mostrano come umani ed altre creature erano puniti dalle divinità perché avevano fatto qualcosa che non era loro piaciuto. Un esempio è Prometeo. Quando Zeus, il dio dei cieli, aveva punito l'umanità privandola del fuoco, e quindi della possibilità di cucinare e di scaldarsi, Prometeo rubò il fuoco e lo riportò sulla terra. Per punire Prometeo, Zeus lo legò in cima ad una montagna con un'aquila che avrebbe mangiato le sue interiora per l'eternità. Un altro esempio è Re Sisifo. Per diverse cattive azioni venne condannato a rotolare un'immensa pietra fino alla cima di una montagna. Ogni volta che raggiungeva la cima, la pietra rotolava indietro ed egli doveva ricominciare da capo. Il titano Atlante fu punito per essersi schierato contro agli dei e dovette per sempre sostenere sulle proprie spalle la volta celeste.

Il Dio della Bibbia è differente. La prova più evidente è il piano di salvezza. Quando i primi umani peccarono contro Dio, Egli decise di andare loro incontro. E' Lui ad incoraggiarci costantemente e a pregarci di pentirci così che Egli ci possa salvare. E' palese che il Dio della Bibbia ami veramente gli esseri umani, che voglia il meglio per loro, e voglia perdonarli per i loro peccati. Non vuole distruggere ma dare vita.

Sebbene la Bibbia ci dia una chiara immagine del carattere di Dio, molte persone, inclusi i Cristiani, sono confusi a riguardo. Una ragione è la concezione implicita che cose buone avvengono a persone buone e cose cattive avvengono a persone cattive. Sebbene una persona non predichi direttamente questa dottrina, questa può ancora influenzare il suo modo di pensare e le conclusioni che si raggiungono quando queste cose si verificano nella sua vita o in quella degli altri.   

Diverse influenze attorno a noi promuovono l'idea che “cose buone avvengono ai buoni e cose cattive avvengono ai cattivi”. Molte fiabe, storie e film per bambini offrono questa rappresentazione del bene e del male come “bianco e nero”. Solitamente i buoni trionfano (“cose buone avvengono ai buoni”), mentre i cattivi perdono, e spesso fanno una brutta fine. Similmente, l'idea di Santa Claus è associata alla concezione che solo i bambini gentili riceveranno un premio o regalo (anche se nella realtà non è così). Ma questi sono solo alcuni esempi di come al giorno d'oggi siamo portati a pensare in questa maniera, “cose buone avvengono ai buoni e cose cattive avvengono ai cattivi”.

Se pensiamo in questa maniera, la vedremo come una relazione causa ed effetto, così come “se piove (causa), ti bagnerai (effetto)”. Nel nostro contesto questo sarebbe: “Se sei gentile, o buono (causa), ti succederanno cose belle (effetto)”. L'effetto è una necessaria conseguenza della causa. Ma la questione essenziale è se vi sia una relazione di causa ed effetto anche tra giustizia (che uno sia “buono” o “cattivo”) e salute, felicità e prosperità?

Una cosa può essere detta con certezza, ovvero che c'è una connessione tra la violazione della legge di Dio e serie conseguenze come una malattia. Uno può ammalarsi perché ha infranto le naturali leggi di Dio. Per esempio, una persona che fuma può contrarre un cancro ai polmoni. Si tratta di una provata correlazione scientifica. In questo caso parleremo di una relazione causa-effetto:

Una persona fuma → la persona contrae cancro ai polmoni
(causa → effetto) 

Anche la violazione delle leggi morali di Dio può avere effetti sulla salute. Per esempio, una persona che commette adulterio (violazione del 7mo comandamento) può contrarre una malattia sessualmente trasmissibile. Una persona che deruba o uccide un'altra può avere problemi di coscienza che influenzano la salute. Ma anche se una persona ruba, inganna, o desidera la sposa di un altro, non sarà automaticamente paralizzato alle gambe o avrà un figlio con una disabilità fisica. Può certamente avvenire che un ladro diventi paralizzato o abbia un figlio focomelico. Ma non vi è una causa diretta come quella tra il fumo ed il cancro ai polmoni.

Una malattia o sofferenza può essere connessa al peccato. Un malvivente può cadere dalle scale e rompersi la schiena e quindi divenire paralizzato. Alcuni penseranno che se lo sia meritato. Simpatia e desiderio di aiutare possono svanire a quest'idea. Ma se non sapeste che questa persona ha rubato qualcosa, sareste in grado di dire, in base alla sua diagnosi, che è un ladro?

 

Gesù e il cieco

Al tempo di Gesù era credenza comune tra le persone che la malattia e la sofferenza fossero punizioni di Dio per peccati che la persona o i suoi genitori avevano compiuto. Una persona colpita da una malattia o da un incidente veniva perciò vista come un grande peccatore. Può essere fosse così, ma in questo caso era la malattia o l'incidente che portava a questa conclusione. Essi osservavano l'effetto (malattia/incidente) e in base a questo giungevano a una conclusione riguardo alla causa: peccato.

Bambini nati con deformità o malattia non erano stati in grado di compiere peccati personalmente. Pertanto era naturale pensare che ne fossero affetti a causa dei peccati dei genitori. Perfino i discepoli di Gesù ragionavano in questa maniera. Un giorno mentre camminavano con Gesù videro un uomo cieco fin dalla nascita. I discepoli chiesero a Gesù:

“Maestro, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché sia nato cieco?” (Giovanni 9:2)

Gesù rispose:

“Né lui né i suoi genitori hanno peccato, ma ciò è accaduto, affinché siano manifestate in lui le opere di Dio.” (Giovanni 9:3)

Il punto, ovviamente, non era che il cieco e i suoi genitori fossero senza peccati. Erano peccatori, come chiunque. Ma non era a causa dei peccati che il pover'uomo era nato cieco. I discepoli avevano accettato la conclusione che “cose buone avvengono ai buoni e cose cattive avvengono ai cattivi”. Quando hanno visto il cieco, è normale che abbiano ragionato in questa maniera. Essi videro l'effetto (l'uomo è cieco), e sulla base di questo conclusero perché: doveva essere un peccatore. (O più precisamente: se egli era nato cieco, i suoi genitori dovevano aver peccato.) Essi ragionavano da effetto a causa, sulla base della tesi che “cose buone avvengono ai buoni e cose cattive avvengono ai cattivi”.

Gesù mostrò loro che questo modo di pensare era errato. La cecità non era una punizione di Dio. Né Dio era felice che questa persona fosse cieca. Lo capiamo da cosa Gesù fece a riguardo. Egli curò l'uomo così che egli potesse vedere (Giovanni 9:6-7).

 

Paolo

Nel nuovo testamento troviamo un altro chiaro esempio di questa maniera di pensare. Durante una visita a Gerusalemme, Paolo è arrestato senza aver fatto nulla di male. Viene assolto dai romani, ma siccome ha deciso di chiedere un appello a Cesare, è condotto a Roma insieme ad altri prigionieri. Sulla rotta la nave viene colpita da un fortunale. Dopo alcuni giorni drammatici la nave tocca terra nelle vicinanze dell'isola di Malta (Atti 27).

Più di duecentosettanta persone si trovavano sulla nave. Gli abitanti di Malta si erano presi cura di loro ed avevano acceso un falò. Mentre Paolo aggiunge legna al fuoco, un serpente velenoso era fuoriuscito dal fuoco e rapido gli aveva morso la mano. Quando la gente del luogo ha visto questo, ha detto:

“Quest'uomo è certamente un omicida perché, pur essendo scampato dal mare, la giustizia divina non gli permette di sopravvivere.” (Atti 28:4)

Di nuovo possiamo vedere come essi ragionino da effetto a causa. Essi vedono l'effetto (Paolo è stato morso da un serpente velenoso e probabilmente morirà), e quindi concludono riguardo la causa: deve essere per forza un grande peccatore, un assassino. Ha subito una seria disgrazia, deve aver fatto qualcosa di davvero tremendo. Ma Paolo non era un assassino condotto a Roma per ricevere una sentenza di morte. Era un missionario che lavorava per Dio e per il bene del prossimo. La conclusione dei maltesi era sbagliata.

Ciò che è avvenuto a Paolo in seguito a questo episodio mostra nuovamente quanto sia sbagliato giungere a spiegazioni riguardanti la causa sulla base dell'effetto:

“Ma Paolo, scossa la serpe nel fuoco, non ne risentì alcun male. Or essi si aspettavano di vederlo gonfiare o cadere morto all'istante; ma dopo aver lungamente aspettato e vedendo che non gli avveniva nulla di insolito, mutarono parere e cominciarono a dire che egli era un dio.” (Atti 28:5-6)

La nuova spiegazione non era più corretta della precedente. Ma i maltesi continuano a ragionare nella stessa maniera, dall'effetto traggono la causa. In realtà non sapevano nulla di Paolo, eccetto che era un prigioniero naufrago, che era stato morso da un serpente velenoso. Ma avevano basato la loro conclusione in base a ciò che era successo a Paolo, costruendo così la propria teoria su chi fosse Paolo e che cosa avesse fatto e sulla giustizia divina. 

Questo episodio mostra chiaramente quanto sbagliata sia questa maniera di pensare. Se giudicate qualcosa in base all'effetto, potete giungere a conclusioni errate riguardo la causa, ovvero il perché.

 

Giobbe

La connessione tra peccato e sofferenza è uno dei temi principali del libro di Giobbe. La discussione nasce dal destino di un uomo chiamato Giobbe. Ma chi era costui?

La Bibbia lo presenta come una persona reale, come Daniele o Noè (vedi Ezech. 14:14). Ci viene detto che egli era uno dei più ricchi e potenti uomini del suo paese (Giobbe 1:3). Ma ciò che lo rendeva veramente grande agli occhi di Dio era la sua pietà e la sua rettitudine. Il primo verso del libro dice di lui:

“Quest'uomo era integro e retto, temeva DIO e fuggiva il male.” (Giobbe 1:1)

Quando successivamente nel libro Dio descrive Giobbe è nella stessa maniera, come il più integro, giusto e pio uomo sulla terra (Giobbe 1:8). Eppure quest'uomo giusto aveva affrontato sciagure e malattie che molti di noi troverebbero arduo sopportare. Tre dei suoi amici, Elifaz, Bildad e Zofar, avevano sentito di ciò che era avvenuto a Giobbe ed erano venuti a confortarlo. Per un'intera settimana si erano seduti assieme a lui senza dire una parola, perché la sua sofferenza era grande.

Che cos'era successo a Giobbe? In poco tempo aveva perso tutti i suoi figli in un incidente (Giobbe 1:18-20). Tutti i suoi animali erano stati rubati e i suoi servi uccisi (Giobbe 1:14-17). Giobbe aveva perso tutto ciò che possedeva e che era stato la sua sicurezza finanziaria. Poco dopo era stato colpito da una seria malattia. Il suo corpo si era coperto di bolle e ferite che gli causavano grande dolore e lo tenevano sveglio la notte (Giobbe 2:7-8, 19:20). Oltre al dolore fisico, Giobbe viveva un dolore psichico perché parenti ed amici lo avevano lasciato e lo disprezzavano (Giobbe 19:13-19).

Giobbe si sentiva solo nei suoi dolori e pene. Soprattutto era perseguitato dalla domanda perché.  Perché i suoi figli erano morti? Perché i suoi servi erano stati uccisi? Perché i suoi animali erano stati derubati? Perché era stato lui ad ammalarsi? Perché Dio lo ha permesso?

Giobbe non poteva vedere il perché. I suoi tre amici, d'altra parte, conoscevano la risposta. Per come la vedevano, le disgrazie e la malattia erano una conseguenza dei peccati di Giobbe. Secondo la loro teologia le sofferenze erano una punizione di Dio per i peccati compiuti da Giobbe. Ma questi tre amici non avevano accesso al cuore di Giobbe. Non sapevano quali peccati egli avesse compiuto o meno. Il loro ragionamento, perciò, si basa sullo stesso modo di pensare dei maltesi riguardo Paolo. Avevano visto l'effetto e sulla base di questo avevano tratto le loro conclusioni sul perché: Giobbe stava soffrendo, doveva aver peccato.

La loro spiegazione è basata sull'idea che “cose buone avvengono ai buoni e cose cattive avvengono ai cattivi”. Perciò doveva essere che Giobbe avesse peccato, che era una persona cattiva, perché gli erano capitate cose cattive.

Nel libro di Giobbe troviamo diverse affermazioni da parte degli amici che mostrano che condividevano la stessa visione su come la giustizia di Dio funzionasse. Per esempio possiamo citare Elifaz, quando aveva cercato di convincere Giobbe che egli soffriva a causa dei suoi peccati:

“Ricorda: quale innocente è mai perito, o quando mai furono distrutti gli uomini retti?” [ovvero nulla di brutto avviene a persone buone, “cose buone avvengono a persone buone”]. Come io stesso ho visto, quelli che arano iniquità e seminano guai, ne raccolgono i frutti [ovvero persone cattive raccolgono iniquità e miseria]. Al soffio di Dio periscono, dal vento della sua ira sono consumati [ovvero “cose cattive avvengono ai cattivi”]...”(Giobbe 4:7-9)

In una dichiarazione simile Bildad aveva cercato di spiegare il perché della morte dei figli di Giobbe e come funziona la giustizia di Dio:

“Può Dio distorcere il giudizio, e l'Onnipotente sovvertire la giustizia? Se i tuoi figli hanno peccato contro di lui, egli li ha abbandonati in balìa del loro misfatto…” (Giobbe 8:3-4) [In altre parole: Erano cattivi e perciò hanno subito un fato infausto.]

Gli amici di Giobbe credevano che la giustizia di Dio funzionasse secondo il principio che “cose buone avvengono ai buoni e cose cattive avvengono ai cattivi”, ovvero Dio lascia che cose buone avvengano a persone buone, e cose cattive a persone cattive. Se Dio aveva permesso che queste cose negative avvenissero a Giobbe, significa che Giobbe è una persona cattiva, che ha peccato. Quando Giobbe ha protestato contro a queste affermazione, ed è ciò che ha fatto, essi avevano pensato che stesse attaccando la rettitudine di Dio, la maniera di giudicare di Dio. Perciò hanno speso molto tempo difendendo Dio, o quelli che credono essere i principi della giustizia di Dio.

Mentre la conversazione procede, gli amici divengono più duri e più diretti nell'affermare che Giobbe è un grande peccatore. Tutto ciò che gli è successo è colpa sua. Tutte le sofferenze sono una punizione di Dio. Sono correzioni di Dio atte a portarlo al pentimento. Ecco come argomentano.

A questo punto giunge una quarta persona, un uomo chiamato Elihu. Le dichiarazioni di Elihu sono molto dure e ovviamente egli supporta la teologia dei suoi amici.

Quando pensiamo a ciò che ha vissuto Giobbe, non è difficile immaginare che egli abbia trovato la conversazione con i suoi amici ben poco incoraggiante. “Siete tutti medici da nulla,” dice ai suoi amici, “Oh, se taceste del tutto, questo sarebbe la vostra sapienza.”(Giobbe 13:4-5). Il punto di vista dei suoi amici sulla questione è diverso da quello di Giobbe che egli descrive così:

“A colui che è afflitto, l'amico dovrebbe mostrare clemenza, anche se egli dovesse abbandonare il timore dell'Onnipotente.” (Giobbe 6:14)

 

La Questione della Rettitudine di Giobbe

Vi sono due questioni principali che vengono discusse da Giobbe e dai suoi amici. La prima riguarda la rettitudine di Giobbe. Giobbe è un uomo giusto o un grande peccatore? Giobbe stesso afferma di essere giusto. Questo irritava i suoi amici, che al contrario pensavano egli fosse un grande peccatore. Per esempio, Elifaz dice:

“Non è piuttosto per la tua grande malvagità e per le tue innumerevoli colpe infinite? … Ecco perché sei circondato ovunque da lacci e spaventi improvvisi ti turbano,oppure un'oscurità non ti permette di vedere…” (Giobbe 22:5. 10-11) (Notate il termine ecco perché. La malvagità di Giobbe è grande, ecco perché tutte queste cose gli sono capitate.)

L'amico Bildad pensa che il problema sia la sincerità e la pietà di Giobbe. Giobbe aveva peccato e la sua relazione con Dio non è come dovrebbe. Perciò egli aveva incoraggiato Giobbe e pentirsi:

“Ma se tu ricerchi Dio e supplichi l'Onnipotente, se sei puro e integro, certamente egli sorgerà in tuo favore e ristabilirà la dimora della tua giustizia.” (Giobbe 8:5-6)

La soluzione al problema di Giobbe è il pentimento. Se così farà tutto sarà a posto. Ma Giobbe dissente e sostiene di essere giusto. Non ha bisogno di pentirsi.

Quando Giobbe afferma di essere giusto, egli non dice di non aver mai peccato o che egli sia meglio di altri. Oggi probabilmente sarebbe stato accusato di fare un'affermazione simile. Ma egli non lo dice. In una delle più famose citazioni da questo libro egli dice:

“Ma io so che il mio Redentore vive…” (Giobbe 19:25)

Il redentore era una descrizione comune del promesso Salvatore, colui che sarebbe divenuto il sostituto dell'umanità, nel Vecchio Testamento. Scopriamo anche che Giobbe conosceva il sistema del sacrificio, in cui l'offerta dei propri peccati era un simbolo della venuta del Salvatore (Giobbe 1:5). In più abbiamo un brano in cui Giobbe dimostra di credere in un Dio che perdona i peccati e non solo ripaga o punisce i peccatori come facevano i dei greci (vedi Giobbe 7:20-21).

La rettitudine di Giobbe era come la rettitudine di Abramo; Giobbe credeva in Dio e ciò gli fu imputato a giustizia (vedi Rom. 4:3). Anche la descrizione della vita di Giobbe e del suo carattere mostrano che egli metteva la fede in pratica nella sua vita. La fede di Giobbe era una fede vivente, non una semplice confessione (vedi Giobbe 29-31). Quando leggiamo le argomentazioni degli amici di Giobbe, troviamo che essi sostengono egli abbia fatto esattamente il contrario di ciò che dice. Per quanto riguarda la questione della rettitudine di Giobbe perciò, è un'affermazione contro un'altra; la parola di Giobbe contro quella dei suoi amici. Una delle cose più affascinanti del libro di Giobbe è che Dio stesso interviene a risolvere la questione.

Già all'inizio del libro troviamo un brano in cui Dio diceva: 

“Hai notato il mio servo Giobbe? Poiché sulla terra non c'è nessun altro come lui, che sia integro, retto, tema DIO e fugga il male.” (Giobbe 1:8)

Qui Dio descrive Giobbe come la persona più giusta di quei giorni, un uomo che segue Dio, fa ciò che è giusto e si dissocia da ciò che è sbagliato. Secondo Dio, Giobbe non è un uomo che ha bisogno di pentirsi. E' in questa condizione che Giobbe ha vissuto le disgrazie e sofferenze.

Quando Giobbe e i suoi amici hanno finito la loro lunga conversazione, Dio risponde a Giobbe attraverso un temporale. Quindi Dio dice agli amici di Giobbe:

“…non avete parlato di me rettamente, come ha fatto il mio servo Giobbe.” (Giobbe 42:8)

Dio chiama ancora Giobbe il suo servo. Sebbene il fato di Giobbe sia cambiato, la sua relazione con Dio ed il giudizio che Dio ha di lui rimane invariata. Ci viene detto che “l'ETERNO ebbe riguardo a Giobbe” (Giobbe 42:9). Per quanto riguarda la rettitudine di Giobbe, Giobbe aveva ragione e i suoi amici torto.

 

La Questione della Giustizia di Dio

Il secondo importante tema che viene discusso nel libro di Giobbe riguarda la correttezza di Dio. La questione è: Dio permette che cose buone avvengano a persone buone e cose cattive a persone cattive? La giustizia di Dio funziona secondo questo principio? Gli amici di Giobbe la pensavano così. Giobbe no.

In questo caso le affermazioni di Elihu si rivelano interessanti. Egli ha atteso lungamente prima di entrare nella discussione, ma quando comincia, ha molto da dire. Tra tutti i coinvolti, egli è colui che più chiaramente promuove la dottrina che Dio lascia che cose buone avvengano ai buoni e cose cattive ai cattini. Egli chiarisce che ciò che fa è per difendere Dio, o piuttosto ciò che egli crede essere i principi di Dio. “Aspetta un po',” dice “e ti mostrerò che ci sono ancora cose da dire da parte di Dio.” (Giobbe 36:2). In una delle sue affermazioni “da parte di Dio” egli dice riguardo alla giustizia divina:

“Lungi da Dio l'iniquità e dall'Onnipotente la malvagità! Poiché egli rende all'uomo secondo le sue opere, e fa trovare a ognuno il salario della sua condotta. Certamente Dio non compie il male e l'Onnipotente non sovverte la giustizia.” (Giobbe 34:10-12)

Qui egli afferma palesemente che Dio lascia che le cose buone avvengano ai buoni e cose cattive ai cattivi;“Poiché egli rende all'uomo secondo le sue opere, e fa trovare a ognuno il salario della sua condotta.” Di conseguenza una persona buona otterrà una buona ricompensa mentre un uomo cattivo otterrà una ricompensa negativa, come Giobbe. Elihu dice che Dio non compie mai errori. Perciò è più che giusto che Egli permetta che cose buone avvengano a persone buone e cose cattive alle persone cattive. Perciò Elihu interpreta le proteste di Giobbe come un attacco alla giustizia di Dio.

Anche per quanto riguarda la questione della correttezza di Dio troviamo affermazione contro affermazione. Da un lato abbiamo gli amici di Giobbe che credono che Dio lasci che cose buone avvengano ai buoni e cose cattive ai cattivi e perciò che vi sia una correlazione diretta tra peccato e sofferenza. Dall'altra parte abbiamo Giobbe che considera sbagliata la teologia die suoi amici. Quando Dio si introduce infine nella conversazione, Egli risolve anche questa questione. Egli dice ad Elifaz:

“La mia ira si è accesa contro te e contro i tuoi due amici, perché non avete parlato di me rettamente, come ha fatto il mio servo Giobbe. Ora dunque prendete con voi sette tori e sette montoni, andate dal mio servo Giobbe e offrite un olocausto per voi stessi. Il mio servo Giobbe pregherà per voi; e così per riguardo a lui non vi tratterò secondo la vostra follia, perché non avete parlato di me rettamente, come ha fatto il mio servo Giobbe.” (Giobbe 42:7-8)

L'amico di Giobbe ha affermato che egli doveva pentirsi. Ora Dio afferma che sono loro a doversi pentire. La dottrina che dice che “cose buone avvengono a persone buone e cose cattive alle persone cattive” e l'asserzione che vi sia una relazione di causa-effetto tra peccato e sofferenza, sono incorrette. Facendo queste affermazioni gli amici hanno creato una descrizione falsa di Dio e della Sua giustizia.

Quando Giobbe ha chiesto perché, i suoi amici hanno cercato di difendere Dio. In una situazione Giobbe ha detto loro:

“Volete forse parlare iniquamente in difesa di Dio e parlare in suo favore con inganno?” (Giobbe 13:7)

E' esattamente ciò che i suoi amici hanno fatto. “Non avete parlato di me rettamente,” ha detto loro Dio. Hanno difeso Dio secondo le loro teorie e spiegazione non secondo ciò che era vero.

 

Altri Criteri per Valutare il Giusto o Sbagliato

Possiamo imparare molto dal libro di Giobbe, ma una delle cose più importanti è che la giustizia di Dio non funziona secondo il principio che “le cose buone avvengano ai buoni e le cose cattive ai cattivi”. Non vi è una connessione diretta o pertinente tra peccato e sofferenza.

Se contrarrete una malattia, vivrete una disgrazia o delle difficoltà, o se un vostro progetto non va in porto, non pensiate sia perché Dio abbia qualcosa contro di voi o che non gli interessi più di voi. Lo stesso vale se vedete altri che soffrono per una malattia o un incidente, o hanno problemi con le proprie attività. Non pensiate sia perché hanno fatto qualcosa di sbagliato o perché Dio ha qualcosa contro ciò che fanno, e che perciò noi stessi dovremmo allontanarci da loro e dalle loro posizioni.

Questo chiaramente non significa che tutto ciò che noi o altri facciamo sia giusto. Ma vi sono altri criteri che dovremmo utilizzare per giudicare ciò che è giusto e sbagliato. Se una persone è nel giusto o meno non può essere determinato dal suo destino. La sola base che Dio ci ha dato per fare tale valutazione sono i Dieci Comandamenti e la Bibbia.

Se ragioniamo da effetto a causa, possiamo giungere a conclusioni errate, come i maltesi con Paolo. Semplicemente, non possiamo valutare nulla sulla base del destino di una persona, né quando riguarda noi né gli altri.

Nella Bibbia troviamo numerosi esempi di cose negative avvenute a persone buone: Stefano, Giovanni Battista, Paolo, Eliseo, Gionatan senza contare Giobbe, giusto per citarne alcuni. Non dobbiamo dimenticare la crocifissione di Gesù (vedi Matt. 27:41-43). Similmente troviamo molti esempi, sia nella storia che nel nostro tempo, di cose buone che avvengono a persone cattiva. Gesù ha detto riguardo al Padre:

“Egli fa sorgere il suo sole sopra i buoni e sopra i malvagi, e fa piovere sopra i giusti e sopra gli ingiusti.” (Matt. 5, 45)

Così l'amore di Dio viene espresso nella pratica e mostra la Sua pazienza verso gli esseri umani, verso tutti gli esseri umani.

 

Leggete Parte 2, Chi e' Responsabile?
Guardate il film qui.

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